Di Daniele Trabucco (*) Belluno 27 giugno 2021 - La «nota verbale» trasmessa dalla Santa Sede al Governo della Repubblica in merito al progetto di legge di iniziativa parlamentare c.d. «Zan» in discussione a Palazzo Madama «costituisce, come hanno autorevolmente scritto Alfredo Mantovano e Aldo Rocco Vitale (Centro Studi Livatino), un passo formale tra due autorità», lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, ciascuna indipendente e sovrana come recita il comma 1 dell’art. 7 della Costituzione repubblicana vigente. Il rischio è quello di precludere lo svolgimento della missione pastorale, educativa e caritativa di evangelizzazione e di santificazione da parte della Chiesa, nonché di esercizio della sua attività magisteriale (art. 2 del Concordato del 1984).
All’obiezione del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, prof. Mario Draghi, il quale ha ricordato, senza entrare nel merito della spinosa questione, come l’Italia sia uno Stato laico e non confessionale e che il Parlamento resta libero in materia, si deve replicare che la legge statale n. 121/1985, attuativa dell’Accordo di revisione del Concordato lateranense del 18 febbraio 1984, è dotata di una particolare resistenza, nel senso che non può essere sostituita, modificata o abrogata da altre leggi ordinarie (salvo non intervenga un nuovo Accordo tra Chiesa e ordinamento statale). Pertanto, qualora ciò accadesse, la legge contrastante con quella esecutiva del Concordato potrebbe essere dichiarata incostituzionale, da parte del giudice delle leggi se investito della questione, per violazione dell’art. 7 del Testo fondamentale. Né vale, nel d.d.l. «Zan» al fine di tutelare la libera manifestazione del pensiero e, dunque, anche la libertà di insegnamento della Chiesa, la disposizione normativa dell’art. 4 (c.d. «norma salva idee») per cui «sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». Con quale criterio un giudice penale stabilisce quando sussiste il concreto pericolo? Non c’è, forse, il rischio di un ampio ed eccessivo margine di discrezionalità nella valutazione in totale spregio dei principi di legalità, materialità e tassatività? L’autonomia delle due Camere non può spingersi fino al punto di snaturare la funzione del diritto penale che finirebbe, in caso di approvazione, per sanzionare (e con quali parametri?) sentimenti e pensieri per quanto turpi possano risultare. Alla neolingua orwelliana, che ci vuole tutti omologati, si ricordi la lezione del filosofo inglese, Sir Roger Vernon Scruton (1944-2020), che metteva in guardia da una ideologia volta a «ricostruire» la sessualità senza legami con l’ordine naturale.
È omofobia? No, semplicemente l’essere.
(Prof. Daniele Trabucco)
Link: “Dentro la Costituzione”
(Per accedere agli editoriali: clicca il link)
_________________________________
(*) prof. Daniele Trabucco. Costituzionalista presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona/INDEF.
Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico. Professore a contratto in Diritto Internazionale presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano.